Al pari di architetti come Ridolfi per Terni, o Michelucci per Firenze, Giancarlo De Carlo per Urbino, che hanno fatto coincidere il loro lavoro con le terre che calpestavano, Richard detiene le chiavi di questa casa galleggiante-MALTA- circondata dal Mediterraneo e in essa almeno tre atteggiamenti progettuali tendono a delineare il suo operare:
Il primo è un forte senso di appartenenza al Mare Nostrum, pur nella coscienza della inevitabile globalizzazione che si manifesta in una acuta attenzione dei fenomeni circostanti, filtrati e dosati con sapienza alchemica.
Fa seguito una certa sacralità invocata e ricercata come partenza e approdo, dopo un periplo irto di difficoltà, al progetto inteso non solo come programma organizzativo di forme che significano ma come potenziale in atto di forme aventi l’obbligo di trascendere la dimensione funzionalistica, e quasi la dimensione terrena per porsi in uno spazio metafisico ove tra Savinio e De Chirico il nostro può trovare alloggio.
Terzo e non ultimo la ricerca di una teatralità dell’opera architettonica intesa sia nel suo organizzarsi spaziale sia come architettura parlante, e che parla all’unico protagonista che interessa la ricerca del nostro: l’Uomo, come individuo carico di sentimenti di emotività di passioni. In sostanza di un referente umano che è all’origine delle motivazioni del fare architettura.
Con Richard England ci muoviamo così tanto a ritroso nel tempo che i parametri storiografici sembrano svanire nell’oblio per restituire dell’architettura la sua vera essenza, la forza archetipica del progetto, rimandato ad un luogo e un tempo così remoto da scorgere gli albori, gli inizi del nostro mestiere.